OPERA SKIS – use case in progress

INNOVENGER – cosa intendiamo per Digital Transformation

“La locuzione Digital Transformation indica un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, creativi e manageriali, associati con le applicazioni di tecnologia digitale, in tutti gli aspetti della società umana.” (Erik Stolterman e Anna Croon Fors)

Ho voluto partire da una definizione completa (ancorchè mediata da wikipedia) da poter poi elaborare sulla base della mia esperienza.

Altre definizioni sono più meccanicistiche e considerano La Digital Transformation come la semplificazione della quasi totalità dei processi, riducendo le ridondanze e gli errori legati ad attività manuali non strategiche. Implicando nel contempo più integrazione tra tutti gli stakeholder aziendali.

Sicuramente c’è del vero anche in queste definizioni ma bisogna a mio parere evitare di cadere nel rischio di sopravvalutare la componente tecnologica: le componenti principali di una trasformazione digitale risiedono infatti nei processi e nelle persone – i maggiori impatti li vedo nei comportamenti di tutti gli stakeholder della catena del valore e nell’evoluzione delle esperienze messe a disposizione del nostro consumatore finale – la tecnologia rappresenta un mero abilitatore (una sorta di condizione necessaria ma non sufficiente).

Senza dilungarmi, i pilastri della Digital Transformation, o meglio ancora i fattori che devono essere allineati per il successo complessivo sono i 6 riportati nella seguente figura:

Come vedete “Strumenti e software”, aka le componenti più squisitamente tecnologiche, sono solo uno dei sei fattori da considerare, non necessariamente il più importante.

Sono sicuro che facendo una survey sui comportamenti delle aziende e chiedendo loro di quantificare la percentuale di trasformazione digitale già conseguita, in molti settori la maggior parte delle aziende non collocherebbero se’ stesse a zero, facendo quindi intuire di aver già iniziato questo percorso; sono però altrettanto sicuro che molti dei pilastri sopra riportati non sono allineati o addirittura considerati, vanificando spesso la portata degli sforzi fatti.

La Digital Transformation era un trend già ben presente nell’era pre-covid, quello che è successo in questi mesi richiede poi uno sforzo ulteriore alle aziende per ottenere un posizionamento competitivo efficace ed evitare di rimanere spiazzate dalle dinamiche in corso: il lockdown da una parte ha forzato l’adozione di modelli e processi delocalizzati (se Maometto non può andare alla montagna…), dall’altro ha creato una necessità di alfabetizzazione digitale per una platea molto più ampia di consumatori ed addetti (sui due lati della barricata).

“La pandemia ha allargato la cerchia delle persone alfabetizzate da un punto di vista tecnologico. Questo si traduce in una grande occasione per le aziende che hanno intenzione di investire in questo ambito mettendo a punto cambiamenti strutturali.” (Angelo d’Imporzano, Consumer Industries Lead – Accenture Italy).

Mi ritrovo in questo concetto, anche se credo che molto spesso le aziende abbiano bisogno di un catalizzatore esterno, il “consulente” nella fattispecie, che possa attivare una sorta di circolo virtuoso e guidare le aziende all’interno di una disciplina che spesso non li vede troppo ferrati oppure “miopi”, nel senso che le esperienze “digitali” in un ambito che non è solitamente parte del core business aziendale sono necessariamente limitate (per vocazione e per esposizione).

Anche il catalizzatore, soprattutto quando trattasi di partner molto tecnologico, corre talvolta il rischio di miopia, nel senso che spesso la proposizione è legata a un particolare “prodotto/soluzione” di cui ha la commercializzazione / conoscenza diretta e non è detto che questo rappresenti la giusta soluzione per l’azienda cliente.

Il giudizio deve essere indipendente, non influenzato da un interesse commerciale e soprattutto deve poter valorizzare i passi, per quanto piccoli, che l’azienda ha già fatto sul percorso di trasformazione digitale.

Come dicevo prima, la maggior parte delle aziende ha la convinzione di aver già completato qualche passo avanti nei confronti della trasformazione digitale, il consulente di valore deve valutare senza preconcetti quanto fatto e produrre un’analisi fattuale dei prossimi passi per concretizzare una trasformazione digitale efficace:

  • Cosa preservare degli step completati (in generale qualcosa di buono esiste sempre ed è rischioso, oltre che più costoso, ripartire ad ogni costo dal green field)
  • Cosa buttare alle ortiche
  • Cosa deve essere costruito da zero
  • Quali sono gli interventi prioritari che devono essere completati (sulla base di una valutazione costi / benefici)
  • Quali attività devono essere fatte per supportare l’accettazione del cambiamento (che sia pregresso e non acquisito oppure di nuova introduzione)
  • Quali sono gli strumenti che consentono di realizzare la trasformazione che riteniamo più allineati con i benefici che vogliamo conseguire ed il posizionamento desiderato

Azzardo un paragone con la cucina…può sembrare banale, ma la lista della spesa non può non essere funzione di cosa c’è nel frigorifero e di cosa voglio cucinare. Poi, se in casa non c’è uno chef con le idee chiare ne possono risentire sia la spesa che i piatti che arrivano in tavola (cioè l’efficacia del customer engagement)